Pubblico questo bellissimo articolo di Marcello Mandarà, amico di filosofate sparse e profondo conoscitore della Musica (quella con la maiuscola), nonché... Gibba!
Tutti conosciamo i Pink Floyd.
Molti di noi sono cresciuti con il sottofondo dei loro dischi più famosi in cameretta, da “The Wall” a “The Dark Side of the Moon”. Qualcuno di noi, come il sottoscritto, ne ha fatta negli anni una vera e propria passione, una malattia.
Ricordo ancora con una certa emozione il giorno in cui, avevo circa dodici anni, un amico più grande di me portò a casa uno strano disco (sì, all’epoca si usava ancora il vinile!) appena acquistato con la paghetta della promozione, tutto ricoperto da un cellophane nero: “Wish You Were Here” dei Pink Floyd!
All’epoca la mia cultura musicale si fermava a qualche cassetta di Battisti presa in prestito da mio padre e un paio di collezioni di “Mixage”, ovvero una poltiglia di musica commerciale anni 80 molto in voga tra gli adolescenti dell’epoca. Mi ricordo bene la sensazione provata nell’ascoltare i primi minuti di quel disco: fu quella di chi assiste ad una “rivelazione”, come se improvvisamente la realtà intorno prendesse tutto un altro significato, un altro aspetto. Penso che il mio amore per la musica abbia preso coscienza di se proprio in quel giorno.
Ho ascoltato e riascoltato negli anni, credo più di un centinaio di volte, quel disco e tutti gli altri dischi dei Pink Floyd. Solo di recente però ho realizzato quanto la magia di quelle musiche spesso sia stata possibile grazie al contributo fondamentale di quello che forse è sempre stato il personaggio più in ombra nel complesso circo di personalità Floydiane (dalle stranezze Barrettiane alle misantropie Watersiane). Sto parlando di Richard Wright, membro fondatore, autore e tastierista dei Pink Floyd.
Wright è inaspettatamente morto domenica scorsa, all’età di 65 anni.
Personalmente considero questo evento la “morte naturale” dei Pink Floyd (anche se la morte artistica a mio giudizio risale al 1979 con “The Wall”). Wright è stato, artisticamente parlando, il collante che ha dato a Gilmour e agli altri Floyd la possibilità di erigere quelle immense cattedrali sonore quali sono “Echoes” o “Shine On You Crazy Diamonds” senza che sprofondassero sotto il loro stesso peso. E questa secondo me è la vera grandezza dei Pink, l’elemento chiave che li distingue da tutti gli altri gruppi “psichedelici” dell’epoca. Non dimentichiamo tra l’altro che, come ha sottolineato lo stesso Gilmour ieri sul suo blog, “Us and Them” e “The Great Gig in The Sky” - due delle canzoni più rappresentative di “The Dark Side of The Moon”, perla indiscussa della discografia di tutti i tempi - sono state composte proprio da Richard Wright. In definitiva proprio quest’ultimo brano ci dà un’indicazione della sensibilità musicale di Wright (aimè troppo spesso sottovalutata) che, nel volgere di appena 4 minuti e mezzo, e con pochi ma intensi accordi, ci descrive in un linguaggio universale e con ineguagliabile forza il destino ineluttabile di ogni essere umano. Per quanto riguarda tutto il resto, che inevitabilmente verrà detto su Wright in questi giorni di ovvia ribalta mediatica, dalle accuse di tossicodipendenza all’isolamento imposto da Waters nel 1982 che definì il suo un “contributo musicale marginale”, vi invito ad ascoltare l’introduzione di “Sheep” (Animals – 1977) e farvi una vostra opinione. In quel paio di minuti al “Fender Rhodes” è racchiusa, a mio parere, tutta la genialità di un “grande modesto” musicista.
“Non ho paura di morire, in qualsiasi momento capiterà, non so quando.
Perché dovrei aver paura di morire? Non ce n'è ragione, prima o poi te ne devi andare...”.
Ciao Rick, arrivederci alla prossima vita.
Molti di noi sono cresciuti con il sottofondo dei loro dischi più famosi in cameretta, da “The Wall” a “The Dark Side of the Moon”. Qualcuno di noi, come il sottoscritto, ne ha fatta negli anni una vera e propria passione, una malattia.
Ricordo ancora con una certa emozione il giorno in cui, avevo circa dodici anni, un amico più grande di me portò a casa uno strano disco (sì, all’epoca si usava ancora il vinile!) appena acquistato con la paghetta della promozione, tutto ricoperto da un cellophane nero: “Wish You Were Here” dei Pink Floyd!
All’epoca la mia cultura musicale si fermava a qualche cassetta di Battisti presa in prestito da mio padre e un paio di collezioni di “Mixage”, ovvero una poltiglia di musica commerciale anni 80 molto in voga tra gli adolescenti dell’epoca. Mi ricordo bene la sensazione provata nell’ascoltare i primi minuti di quel disco: fu quella di chi assiste ad una “rivelazione”, come se improvvisamente la realtà intorno prendesse tutto un altro significato, un altro aspetto. Penso che il mio amore per la musica abbia preso coscienza di se proprio in quel giorno.
Ho ascoltato e riascoltato negli anni, credo più di un centinaio di volte, quel disco e tutti gli altri dischi dei Pink Floyd. Solo di recente però ho realizzato quanto la magia di quelle musiche spesso sia stata possibile grazie al contributo fondamentale di quello che forse è sempre stato il personaggio più in ombra nel complesso circo di personalità Floydiane (dalle stranezze Barrettiane alle misantropie Watersiane). Sto parlando di Richard Wright, membro fondatore, autore e tastierista dei Pink Floyd.
Wright è inaspettatamente morto domenica scorsa, all’età di 65 anni.
Personalmente considero questo evento la “morte naturale” dei Pink Floyd (anche se la morte artistica a mio giudizio risale al 1979 con “The Wall”). Wright è stato, artisticamente parlando, il collante che ha dato a Gilmour e agli altri Floyd la possibilità di erigere quelle immense cattedrali sonore quali sono “Echoes” o “Shine On You Crazy Diamonds” senza che sprofondassero sotto il loro stesso peso. E questa secondo me è la vera grandezza dei Pink, l’elemento chiave che li distingue da tutti gli altri gruppi “psichedelici” dell’epoca. Non dimentichiamo tra l’altro che, come ha sottolineato lo stesso Gilmour ieri sul suo blog, “Us and Them” e “The Great Gig in The Sky” - due delle canzoni più rappresentative di “The Dark Side of The Moon”, perla indiscussa della discografia di tutti i tempi - sono state composte proprio da Richard Wright. In definitiva proprio quest’ultimo brano ci dà un’indicazione della sensibilità musicale di Wright (aimè troppo spesso sottovalutata) che, nel volgere di appena 4 minuti e mezzo, e con pochi ma intensi accordi, ci descrive in un linguaggio universale e con ineguagliabile forza il destino ineluttabile di ogni essere umano. Per quanto riguarda tutto il resto, che inevitabilmente verrà detto su Wright in questi giorni di ovvia ribalta mediatica, dalle accuse di tossicodipendenza all’isolamento imposto da Waters nel 1982 che definì il suo un “contributo musicale marginale”, vi invito ad ascoltare l’introduzione di “Sheep” (Animals – 1977) e farvi una vostra opinione. In quel paio di minuti al “Fender Rhodes” è racchiusa, a mio parere, tutta la genialità di un “grande modesto” musicista.
“Non ho paura di morire, in qualsiasi momento capiterà, non so quando.
Perché dovrei aver paura di morire? Non ce n'è ragione, prima o poi te ne devi andare...”.
Ciao Rick, arrivederci alla prossima vita.
5 commenti:
Grazie fratello! Questo tuo articolo è come un bel respiro profondo, a occhi chiusi, in un sogno chiamato Pink Floyd...
ah dimenticavo, cliccando sul video preso su youtube e riportato in testa all'articolo, si può ascoltare proprio il brano a cui si fa riferimento...
questo articolo mi piace un sacco, proporrei a tutti quelli che lo leggono di usare l'iconcina a forma di posta per spedirlo agli amici, sarebbe un regalo per tutti!
Anche per me i Pink sono stati il primo approccio alla Musica, ascoltati passivamente durante una gita domenicale... e poi il primo vinile e il primo CD. E poi quante idee, situazioni, amicizie nate partendo da una passione comune. Eh sì, da oggi si è spenta anche ogni speranza di rivederli e riascoltarli dal vivo.
Ciao, complimenti x le belle parole su Wright.
Anch'io l'ho ricordato nel blog di un amico di cui allego il link.
Senza la sua tastiera non ci potranno essere più i Pink Floyd.
Ciao Rich.
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