martedì 9 ottobre 2012

Della vecchiaia e della comunicazione

Tre età dell'uomo (Tiziano)


"Sei vecchio quando cominci ad assomigliare a tuo padre." 

Dove l'ho sentita? In un film, da un amico? Boh, non ricordo... E comunque ricordo di essermi chiesto e perché non a tua madre?

Immagino che l'espressione sia conseguenza di un retaggio culturale dove la figura maschile era predominante. 

In ogni caso è un pensiero su cui riflettere. Ad esempio ora che sono padre, mi domando spesso che tipo di influenza sto esercitando su mia figlia. I bambini sono spugne, devono assimilare tutto in fase di crescita. Certo poi interviene quel quid che non sappiamo ancora definire e si crea nel tempo una personalità distinta. 

La personalità ... Che cosa incredibile! 

Ogni testa è un mondo. Questa frase me la disse una volta un mio caro amico. Essere se stessi, con la consapevolezza che questa cosa vale per tutti. L'identità di un'altra persona è uno spazio che non potremo mai cogliere con la nostra personalità, con le nostre idee, i nostri progetti e i nostri sentimenti. 

Ed è un motivo di impossibilità della comunicazione. Sia verbale che non verbale. Infatti gli uomini passano il tempo a non capirsi. L'unico linguaggio che funziona - e non sempre! - è il linguaggio macchina. Perché non è un linguaggio comunicativo, ma unidirezionale, inputazionale. 

Sto divagando. Tornando all'inizio, penso che la vecchiaia sia una forma di sintesi, una macro fase finale dell'elaborazione del lutto della vita. Una lunga elaborazione, che comincia fin dalla nascita, quando siamo completamente isolati dal mondo, se non per quel respiro che riconosciamo subito e a cui ci aggrappiamo con tutte le nostre forze. 

A un certo punto riconosciamo e accettiamo in noi alcuni tratti distintivi della nostra vita, dei nostri genitori, delle cose che abbiamo vissuto e che ci hanno modellato nel tempo. Sono i nostri oggetti più intimi. Probabilmente per anni abbiamo negato e poi lottato più o meno inconsapevolmente con qualcuno di questi oggetti: il naso che non ci piace, quella smorfia che mal sopportiamo, qualche piccola ossessione ... 

Si, forse è proprio così. Arriva un momento in cui riconosciamo e accettiamo, con tenerezza, alcune caratteristiche del nostro essere, della nostra personalità. Allora comincia la 'vecchiaia', quella vera, non quella anagrafica. Cominciamo a comprendere in maniera profonda quelli che finora erano solo concetti indefiniti, cose come destino, fede, amore, poesia, ... Non sto dicendo che questi concetti assumono i tratti della Verità, ma che vengono percepiti in maniera meno volgare, meno istintiva e per di più liberi da quel velo di pretesa razionalità tipico della fase adulta della nostra vita.

Questa nuova e diversa consapevolezza incide anche nelle nostre forme di comunicazione. I vecchi sono più saggi, assumono un linguaggio più simbolico ed evocativo, oppure ordinano e basta, senza preoccuparsi della effettiva accettazione razionale da parte dell'altro. Il linguaggio evocativo è tipico del saggio, che fa leva sulla nostra irrazionalità, sul nostro desiderio di Amore (per noi stessi e in tutte le sue forme), di gran lunga dominante rispetto alla ragione e alla logica. L'ordine è simile al linguaggio macchina, ma siccome non siamo ancora macchine, perché sia efficace deve essere anch'esso trasmesso con un linguaggio evocativo. Del genere: o mangi questa minestra o salti dalla finestra ... Perché in fondo non smettiamo mai di essere bambini ... Infatti i vecchi e i bambini tra loro comunicano molto meglio che non le persone di mezzo, quelli che ancora stanno negoziando tra ragione e fede ...

;) 

 

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