Scusate, sono imbarazzato. Devo dirlo a qualcuno, lo scrivo nel blog. Passa il tempo e mi sento sempre più impacciato, di fronte alla gente, alle cose da fare, alla mia coscienza. Fuori tempo, come un musicista che perde il ritmo, a un certo punto abbrevia o allunga, asincrono, sincopato, esaurito. Non riesco a stare al passo, devo rallentare o rincorrere, mi viene il fiatone e l'ansia, allora forse è meglio che cominci ad assecondare questa mia debolezza, altrimenti non arrivo ai quaranta. Fratello scrivi un'ode al mio imbarazzo, senza troppe volgarità, che di volgare c'è solo la vita, questa malattia mortale che non so come affrontare 'al meglio'.
Vorrei essere quella persona fantastica che la mia cagnolina è convinta che io sia, ma non ci riesco. Le basta che io le dia qualche croccantino e un po' di coccole e mi amerà per sempre, mi difenderà dai nemici e scodinzolerà agli amici, al contrario degli uomini. Se solo prendessimo esempio dai cani... Riconoscono subito le persone buone, non hanno bisogno di religioni o di trattati di filosofia della morale, a loro basta una snasata e subito scodinzolano o ringhiano, non sanno mentire. Se solo gli uomini potessero scondizolare con la coda (e non con la lingua), avremmo molti più amici e meno tensioni, saremmo più felici.
Sono in imbarazzo. Non riesco a stare al passo. La misantropia cresce. La giornata è scandita da appuntamenti che si susseguono e ogni giorno segue l'altro, uguale a se stesso, senza scampo. Sveglia e caffè, barba è bidé, presto che perdo il tram. Il treno, le stesse fermate, lo stesso ritardo del cazzo: dieci minuti, scientifico! Vicenza-Padova. Poi una passeggiata fino al lavoro, che dovrebbe durare almeno quindici minuti, ma ne dura solo otto! Perché bisogna star dietro al collega-stereotipo, quello che allunga il passo per far prima, che è già al cellulare aziendale alle otto di mattina, come se cambiasse il mondo! Come se il mondo non potesse aspettare altri sette minuti per una chiamata dal vecchio caro telefono d'ufficio! Tutti i giorni così. Sono certamente telefonate finte! Non ci credete? Mmmm... Mai soprendersi di questi tempi.
Quando incrociamo i colleghi, io non riesco a fare il suo sorriso, che poi diventa una paresi facciale quando si imbatte in quelli più alti in grado. A parte i miei denti storti, è che non ce la faccio proprio, ma poi, perché dovrei? Cos'è la sincerità? E' la forma più alta di rispetto nei propri confronti. Quando si è sinceri con se stessi lo si è con il mondo intero. Quindi non ho voglia di salutare, ok? perché non ti conosco, perché mi stai sulle palle, perché se no pensi che stia facendo il ruffiano, perché entrare in certi ambienti mi toglie il buon umore, perché oggi il caffè macchiato mi ha giocato un brutto scherzo, perché oggi è lunedì, perché non vorrei essere qui...
Sono proprio in imbarazzo. La vita è scandita da tappe, da progetti, da gradini sociali, da consuetudini, da aspettative, da riti, appuntamenti, festività, promozioni, ricoveri, eventi, tac tac tac tac tac boooooom!
Forse dovrei avvicinarmi a qualche forma di ascetismo orientale, trovare il modo di assecondare il flusso della mia coscienza. Perché drogarsi costa troppo, anche in termini di salute e comunque vorrei salvare almeno un briciolo di buona apparenza, più che altro come forma di rispetto nei confronti dei miei amici e della mia famiglia.
Non riesco a dare il meglio, mi dispiace veramente. Perdonatemi. Non chiamo gli amici quante volte vorrei. Non ho cura del mio corpo, dovrei mangiare meglio, fare un po' di sport. Quante cose dovrei fare...
Ma esiste una forma di felicità più duratura di un attimo? Quell'attimo che fugge sempre, come una carezza improvvisa e non richiesta, come il profumo di quella cena, il silenzio di quelle notti in Trentino, quella frescura di montagna che ci faceva mangiare e dormire bene quando la città di sotto bruciava e sudava, il sorriso di quel mio amico quando pronuncia il nome di sua figlia, lo sguardo di quella ragazza al suo amore. Esiste?
Non è forse nel tempo di quegli attimi il segreto di tutto? Non dovrei forse ricercare, in quel mentre, il senso di un anno, di un decennio, di una vita? Espandere quel momento, trasformarlo in pienezza e tenerlo caro per sempre?